ROMA - Elena Dini
Durante gli anni, ho avuto la fortuna di essere invitata a vari Seder pasquali. Ogni volta è stata un’esperienza diversa e sempre profonda. Ho trascorso questi momenti con comunità differenti in paesi e contesti diversi fino al Seder dello scorso anno che è stato internazionale e… online!
Due parole sono centrali nella mia esperienza: "Seder" e "Haggadah." "Seder" significa “ordine” e si riferisce non solo al pasto della Pasqua con i piatti specifici che lo costituiscono ma anche ai gesti e alle azioni che accompagnano il cibo. Da non ebrea invitata ad un Seder, mi sono sempre sentita parte di una tradizione millenaria alla quale mi veniva dato l’onore di partecipare. Come in una liturgia, tutti i passi sono dettagliati e chiari da seguire, soprattutto nella mia esperienza perché sono sempre stata ospite di comunità che riservavano tante attenzioni ai non ebrei presenti a tavola e quindi mi veniva spiegato il significato simbolico di ogni gesto o pietanza.
"Haggadah" è la seconda parola che mi parla. Probabilmente deriva dal verbo “hagghed”, raccontare, e dal comandamento di raccontare la storia della liberazione del popolo di Israele dagli egiziani: «In quel giorno tu istruirai tuo figlio: È a causa di quanto ha fatto il Signore per me, quando sono uscito dall'Egitto» (Es 13,8). Azioni e parole, come anche i sensi – gusto, vista, olfatto – coinvolti nel rapporto con il cibo: tutto contribuisce a fare memoria e a vivere una volta ancora quella notte di liberazione.
È interessante notare che la "Haggadah" tradizionale non indica esattamente cosa deve dire chi racconta la storia di quella notte e neanche quali capitoli della Bibbia costituiscono parte del racconto.Così, ogni volta, l’attualizzazione dell’esperienza dell’esodo sarà nuova e personale e, quindi, anche il Seder. Ecco cosa rende ogni anno questo momento intimo e condiviso profondamente con gli altri commensali.
Lo scorso anno, Pesach è arrivata durante il lockdown. Per la prima volta, ho preparato io il piatto per il Seder e mi sono unita ad un gruppo di amici ebrei che celebravano online la Pasqua su Zoom. Mi ci è voluto abbastanza tempo per organizzarmi e in molti mi hanno dato una mano: dal macellaio kosher, che ha il suo negozio di fronte a casa mia, alla proprietaria del minimarket che vende le matzot (il pane azzimo) e altri prodotti kosher. Il mio piatto per il Seder – decisamente non perfetto e incompleto – è stato un bello “sforzo condiviso”!
Ho deciso di preparare il mio piatto per varie ragioni. Innanzitutto, perché accettare un invito per questa festa senza cibo avrebbe voluto dire perdere una parte di questo momento e non essere davvero “a tavola” con gli altri. Inoltre, lo scorso anno avevo appena perso mia zia che era l’ultima persona nella mia famiglia ad aver conosciuto i nostri parenti ebrei che sono morti durante la Shoah e questo era un modo per me di onorare la sua e loro memoria.
Pesach è un’esperienza di famiglia e in un periodo in cui le famiglie erano (e ancora sono) fisicamente distanti, ho sentito che quella fra me e questa parte della mia famiglia che non ho mai potuto incontrare era solo un altro tipo di distanza rispetto a quella che tutti comunque stavano sperimentando in quel momento. E anche quella era lì sulla tavola.
«Pasqua non parla di storia ma di memoria. E la memoria è, per sua stessa natura, soggettiva. Cambia con il passare del tempo, è selettiva e, nel caso della Pasqua, quando riguardiamo al nostro passato, vogliamo che abbia un senso per la generazione successiva», ha affermato il professore Noam Zion dello Shalom Hartman Institute di Gerusalemme durante una lezione in preparazione a Pesach per i Russell Berrie Fellows nella quale ha mostrato lo stretto legame fra passato, presente e futuro in questa festa (è possibile vederla qui - The Paschal Seder at Home e The Passover Haggadah The Greatest Book of Jewish Pedagogy).
Lo scorso anno abbiamo concluso il pasto, come ogni anno, con la solita espressione: “Il prossimo anno a Gerusalemme”.
Quest’anno è ancora impossibile per molti ebrei ma guardiamo avanti con fiducia.
Pesach Sameach a tutti gli amici ebrei.
Foto Elena Dini
Elena Dini è Senior Program Manager presso l'Istituto Giovanni Paolo II per il dialogo interreligioso, ubicato presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino (Angelicum).